Cos’è il brand e a cosa serve.

Cos’è il brand?

Il brand secondo l’American Marketing Association si intente come un nome, una parola, un simbolo, un disegno o una combinazione di questi aventi lo scopo di identificare un prodotto o un servizio e di renderli differenti dalla concorrenza.

L’attenzione nei confronti del brand è un fenomeno costante ascesa.

La qualità del brand è data senz’altro dal prodotto ma anche da cosa l’impresa racconta, dalle conversazioni che si creano attorno ad essa messe in moto dall’impresa stessa e dai consumatori e dall’esperienza del consumatore.

Gli elementi che influiscono sulla percezione del brand sono tre: impresa, consumatore, conversazioni. Di seguito parleremo di ciò che l’impresa può fare per migliorare la propria presenza investendo su sé stessa in primis.

Il valore percepito, creato dal tutte quelle intangibilità che danno un anima al prodotto stesso, è parte integrante del brand.

Il brand è il valore aggiunto dato al prodotto.

Il consumatore percepisce la marca come garanzia di esperienza, stabilità, durevolezza e affidabilità dell’impresa.

Oltre al voler conferire valore aggiunto al prodotto esiste anche una ragione molto più pratica del perché le imprese creino e registrino marchi. Il consumatore ha bisogno di distinguere i prodotti e fare una scelta, di conseguenza serve far sì che egli ci noti tra gli altri, oltretutto per promuovere un prodotto è necessario dargli un nome di marca.

Tutti gli elementi utilizzati dall’impresa nelle proprie strategie creano nel consumatore la percezione di brand, rendendolo vivo, tangibile, unico.

Dando al prodotto una personalità e un carattere vero e proprio lo rendiamo di facile distinzione dagli altri.

I livelli del brand

Quali sono gli elementi che compongono il brand e lo rendono tale?

Eredità: marchi come Ferrari, Ford, Honda hanno radici antiche. Una storia di successo è valore aggiunto.

Capacità e risorse: per creare valore un brand deve avere dei possedimenti, queste sono le sue risorse, siano essi capannoni o strutture liquide come per PayPal.

Persone: il cliente viene soddisfatto da delle persone, l’azienda è fatta di persone, sono proprio loro che accrescono il valore del brand da dentro l’azienda e che ne fanno la differenza.

Valori: l’immagine corporate deriva molto dai valori che l’azienda sceglie e si impegna a rappresentare.

Innovazione: un vantaggio competitivo da costruire e mantenere.

Percezione di qualità: ormai non esiste più un prodotto scadente venduto per poco o per molto, la qualità è da gestire per generare valore per l’acquirente.

Cliente al centro: il cliente va messo al centro di ogni attività.

Brand locale o globale: entrambi hanno dei vantaggi. In periodi di recessione l’acquisto territoriale ha dei vantaggi, o in settori e mercati dove conta molto la provenienza.
In altri casi, un brand globale giova delle economie di scala e riesce a farsi riconoscere in vari paesi.

Buoni risultati: un brand che “va bene” e del quale si parla positivamente (successi economici, acquisizioni, joint venture, collaborazioni, eventi o altro) ne trae beneficio.

Brand, corporate, prodotto

Philip Morris produce le sigarette Marlboro, ciononostante ha deciso di differenziare questo brand da sé stesso per varie ragioni di immagine e per non creare confusione, mantenendo il suo brand separato.

Ci sono tre strategie di branding.

Il prodotto: mettere in primo piano il prodotto tenendo il corporate separato. Come per Baileys, chi lo beve non sa che viene prodotto da Diageo, o come per Mini, reso indipendente da BMW.

Stesso nome per il corporate e per il prodotto.

Marca ombrello: come per Ferrero la marca da il nome a vari prodotti rendendosi riconoscibile e comunicando sia il prodotto che il corporate.

Costruire un brand

Brand Equity. La brand equity è formata da

  • brand awarness: la conoscenza che vi è del brand all’interno del suo settore
  • perceived quality: la percezione di qualità da parte dei consumatori
  • brand loyalty: la fedeltà che i consumatori hanno nell’acquisto del suo prodotto
  • brand assotiations: le associazioni che il consumatore fa con il brand come attributi, personaggi famosi, eventi, prodotti.
  • marchi e brevetti.

Brand identity. Essa è la personalità del marchio, come il consumatore l riconosce. È importante che il il consumatore l riconosca come coerente, forte e durevole nel tempo.
L’impresa deve riuscire a costruire un’offerta di valore (value preposition) con il consumatore. Per Mini l’identità si basa sul voler eccitare e divertire, per Volvo è la sicurezza, per Nike permettere allo sportivo di spingersi oltre.

Quella di Coca Cola per alcuni aspetti è molto complessa poiché figlia di una storia secolare ricca di eventi storici e sfaccettature, dalla fornitura ai soldati in guerra all’utilizzo di Babbo Natale come testimonial.

Visual identity. Parliamo di grafica, segni, stili e colori. L’identità visuale partendo dal logo e dalle forme del lettering è fondamentale per il riconoscimento del brand stesso.

Quando pensiamo al caffé Illy pensiamo al suo logo composto dal quadrattino rosso che contiene il lettering di quattro lettere.

Lo stile grafico, il carattere e tutti i segni che compongono l’identità visuale giocano un ruolo fortissimo nella comunicazione dell’essenza del marchio che può venir percepita.

Posizionare un brand

Posizione della marca. Si tratta di comunicare in un determinato modo per posizionarsi nel luogo desiderato nella mente del consumatore.

Competere con altri marchi e con una crescita sempre maggiori di marchi e prodotti nel mercato che promettono la soluzione+ di un desiderio del consumatore ci impone di creare un prodotto e connotarlo dandogli una personalità diversa dagli altri.
In una città dove continuano a nascere ristoranti, non è importante trovare un modo originale e diverso per differenziarsi dagli altri per ottenere i clienti che desideriamo?
Così nel piccolo, così ragionano anche le multinazionali per la loro strategia di branding.

La brand position si ottiene dalla combinazione di quattro componenti:

  • brand identity e value proposition,
  • audience di riferimento,
  • comunicazione,
  • vantaggio della marca.

Posizionamento. Occorre trovare il modo di posizionarsi nella mente del consumatore almeno per un motivo forte, un attributo, un valore, un’emozione, così come per anni Seven Up, terzo produttore di soft drink dopo Coca Cola e Pepsi si posizionò e trovò il suo spazio definendosi una “non cola” rispetto agli altri.

Realizzare un posizionamento

  • Il prodotto: il brand è associato al suo prodotto e alle sue caratteristiche.
  • L’intangibile: valori intangibili che compongono l’identità di marca, come la reputazione.
  • Benefici: i benefici offerti dal prodotto quando lo si utilizza.
  • Occasioni d’uso: l’evento nel quale si ricorre al prodotto come la colazione o uno snack per i Pavesini.
  • Il rito: più particolare rispetto all’occasione d’uso è il pandoro a Natale o lo spumante per una festa.
  • Il target: la categoria di consumatori al quale il brand si indirizza.
  • Il testimonial o l’influencer
  • Il simbolo inteso come logo o segno distintivo
  • Valori: ciò che rappresenta il brand dal punto di vista emotivo.
  • Lo status symbol: la marca fa sentire il soggetto diverso da chi ne utilizza un’altra, serve per differenziare.
  • L’appartenenza: la possibilità che il marchio da al soggetto di appartenenere ad una cerchia di altri soggetti.
  • Il mito: come alcuni marchi sono diventati veri e propri generatori di culto attorno a sé stessi come Harley Davidson.
  • Paese d’origine, la reputazione del paese d’origine può aiutare il brand.
  • Dissociazione: il brand si posiziona per la non appartenenza ad una classe di prodotto, come una crema da bagno che prende le sue distanze dall’essere un sapone.

Cosa c’è di nuovo?

Vent’anni fa, prima di Facebook, prima di Instagram, prima delle recensioni alla portata di tutti su Amazon, avreste mai pensato di scambiare il vostro Nokia per uno Xiaomi (se un marchio analogo fosse esistito)?

Xiaomi è una marca recente di cellulari dal prezzo inferiore rispetto ai leader Apple e Samsung, un marchio che tra l’altro vanta l’aver degli ingegneri che lavorano al prodotto che stanno a stretto contatto con i marketer dell’azienda per conoscere al meglio le esigenze dei consumatori.

La qualità dei cellulari Xiaomi è alta, fanno delle ottime foto e montano sistema Android. Xiaomi vent’anni fa avrebbe fatto molta fatica a creare il suo brand e a posizionarlo a fianco di Nokia che al tempo era leader di mercato: non sarebbe stato semplicemente nessuno, forse sarebbe stato inizialmente snobbato e avrebbe dovuto investire enormi somme pubblicitarie per creare awarness e guadagnarsi il rispetto.

Oggi Xiaomi, con il passaparola positivo su internet, con la possibilità di fare in modo che le conversazioni lavorino per il brand (se il brand crea un prodotto di qualità, aiuta i consumatori a risolvere i loro problemi e cura in modo virtuoso le conversazioni) riesce a posizionarsi tra i grandi big players e a farsi apprezzare, con una scalata molto meno lenta e ripida di come sarebbe stato prima del web 4.0 (Marketing 4.0, Kotler).

Il brand è ancora importante oggi? Certo, anche Xiaomi deve avere in testa una brand strategy, una fascia di prezzo, una distribuzione e una comunicazione, ciò che cambia è la possibilità di scontrarsi meno con dei big player ed emergere grazie alle conversazioni che compongono i mercati (“I mercati sono conversazioni” The Cluetrain Manifesto).

Il brand adesso si crea attraverso la componente esterna (data dall’azienda che investe in pubblicità e comunicazione), dalla componente propria (esperienze e vissuto del consumatore) e dalla componente altrui (conversazioni con altri consumatori e cerchie di persone).

Adesso l’azienda non solo deve costruire il brand con immagini, segni e testi coerenti con ciò che si è promessa, deve cercare di seguire le conversazioni per fare in modo che il passaparola generi awarness (conoscenza) e advocacy (passaparola positivo) nei propri confronti.